La disciplina dell’assegno divorzile costituisce espressione chiara dell’ultrattività del vincolo matrimoniale anche dopo il suo scioglimento.
Come ben noto, tra gli effetti patrimoniali del divorzio figura il diritto dell’ex coniuge di ricevere un assegno quando non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive.
Secondo un primo orientamento (espresso per la prima volta dalla C. 90/1652) l’adeguatezza dei mezzi doveva interpretarsi come adeguatezza a vivere una “vita libera e dignitosa”.
Secondo l’orientamento opposto, risultato poi maggioritario, il parametro interpretativo del criterio inserito dal Legislatore, era, invece, quello del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
A partire dalla nota sentenza delle Sezioni Unite 11490/90, presupposto dell’attribuzione dell’assegno è stato pertanto l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge ai fini della conservazione del medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.
Secondo i Giudici della Suprema Corte non era necessario che l’istante si trovasse in condizioni di “bisogno” o che non avesse mezzi adeguati a vivere una vita autonoma e dignitosa, ma costituiva condizione sufficiente al riconoscimento del diritto un’apprezzabile deterioramento delle sue condizioni economiche in conseguenza dello scioglimento del vincolo.
L’importanza della pronuncia delle Sezioni Unite del 1990 è stata confermata dall’adesione pressocchè unanime dei giudici di merito al principio determinativo del “tenore di vita”.
La conservazione del tenore di vita matrimoniale è rimasto a lungo unico punto di riferimento condizionante ed essenziale, e ciò fin quando, attesa la necessità di rivedere la disciplina di un istituto così fortemente influenzato dal fattore socio-culturale, la Suprema Corte è intervenuta nuovamente sul punto.
Rivedendo radicalmente lo storico parametro, la Corte di Cassazione con sentenza 11504/17 ha legato l’attribuzione dell’assegno divorzile al criterio dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge istante, accantonando quello della conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Questo orientamento innovativo, applicato senza alcun fattore di moderazione, rendeva attuale il rischio di danneggiare il coniuge impegnato di comune accordo con l’altro coniuge nel lavoro casalingo.
A definire il contrasto giurisprudenziale registrato in materia si è imposto l’intervento delle Sezioni Unite.
Le SS.U.U 2018/18287 hanno chiarito la funzione perequativa-compensativa dell’assegno divorzile, il cui fondamento è da rinvenirsi nel principio solidaristico sancito dall’art. 2 Cost.
La sussistenza del diritto all’assegno di divorzio va pertanto valutata in base ad un criterio composito che tenga ANCHE conto del tenore di vita goduto durante il matrimonio. Il merito della pronuncia risiede pertanto nell’avere operato un distacco dalla giurisprudenza che indistintamente negli anni ha riconosciuto e dispensato l’assegno parametrandolo unicamente al criterio del tenore di vita, senza tuttavia escluderlo del tutto.
In concreto, ai fini del riconoscimento dell’assegno il Giudice, partendo dalla valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi, seguirà a valutare se lo squilibrio economico, laddove esistente, possa ritenersi collegato in regime di causa ed effetto al ruolo endofamiliare assunto dal coniuge richiedente, ai sacrifici (personali e lavorativi) compiuti dallo stesso nella contribuzione della costruzione del mènage familiare, ovvero nella gestione della prole, e al conseguente deterioramento del personale reddito (anche potenziale), a vantaggio dell’altro coniuge.
Secondo i Giudici di Piazza Cavour, il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili che possono incidere sul profilo economico-patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale.
Nella valutazione delle condizioni per l’attribuzione del diritto all’assegno dovrà darsi rilievo alla durata del matrimonio, all’età dell’ex coniuge e alle difficoltà oggettive di reinserimento nel contesto lavorativo.
La nuova lettura dell’articolo 5 della legge sul divorzio, offerta dalle sezioni Unite, indica come applicare i criteri previsti dal legislatore per il riconoscimento dell’assegno divorzile in un’ottica che prende distanze sia da quanto deciso dalla Cassazione con la nota sentenza n. 11504/2017, sia dall’orientamento tradizionale radicato da decenni nella giurisprudenza di merito e di legittimità.
L’assegno non viene più considerato un mezzo per consentire al coniuge il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma nemmeno un mero strumento assistenziale per assicurare al coniuge privo di mezzi un’esistenza libera e dignitosa.
L’attribuzione dell’assegno assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni caratterizzate da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare.
Avv. Michela Lo Giudice